domenica 25 gennaio 2009

Il treno per Auschwitz

Abito praticamente sopra la ferrovia a pochi passi dalla stazione dei treni. L'ho quindi sentito partire, tre ora fa, il quinto Treno per Auschwitz. E ho visto la folla adunata davanti alla stazione due ore prima. E' un bel progetto, mi piacerebbe che continuasse e poterci un giorno portare i miei figli. Io ho visitato il campo di Dachau ed è stata una esperienza che consiglierei.
Per celebrare la mia giornata della memoria ieri ho iniziato a leggere "I sommersi e i salvati" di Primo Levi che partì proprio in treno da Fossoli nel febbraio del '44.
Avevo letto Se questo è un'uomo e La tregua quando ero ragazzo, non ne ricordo tanto. Però non so se è questo libro che è diverso dagli altri due o se sono io che sono cambiato ma la sensazione che ho leggendo in questi giorni è diversa.
Quando leggevo vent'anni fa pensavo che fossero cose orribili, disumane e che fosse necessario non dimenticare perchè non si potessero ripetere più. Ma con la convinzione che fossero cose lontane, disumane e che gli uomini non le avrebbero ripetute più. Anche Repubblica e L'Espresso da ieri pubblicano l'opera di Primo Levi con la motivazione "ci sono pagine da leggere perchè nessuno debba più scriverle.
Oggi, leggendo I sommersi e i salvati, mi rendo conto che quelle pagine parlano ad ogni uomo in prima persona, a me in prima persona. Il capitolo dal titolo "comunicare" denuncia una "pigrizia mentale" che spesso ci fa chiudere in noi stessi e dimenticare che
comunicare si può e si deve: è un modo utile e facile di contribuire alla pace altrui e propria
e questo non vale solo nel Lager ma anche in famiglia. E aggiunge, poco dopo che
Della comunicazione mancata o scarsa non soffrivano tutti in ugual misura. Il non soffrirne, l'acettare l'eclissi della parola, era un sintomo infausto: segnalava l'approssimarsi dell'indiffereza definitiva.
e subito dopo
del grande continente della libertà la libertà di comunicare è una provincia importante. [...] Lintolleranza tende a cesurare, e la censura accresce l'ignoranza della ragione altrui e quindi l'intolleranza stessa: è un circolo vizioso rigido, difficile da spezzare.
Ora, queste non sono cose disumane e nemmeno così lontane dall'esperienza quotidiana di ognuno di noi.
In un altro punto parla del "nosismo" come quella forma di egoismo che, comprendendo entro i suoi limiti non soltanto l'ego ma il "noi" di chi ci sta più vicino riesce in qualche misura a farci sentire meno in colpa pur essendo ben lontano dall'altruismo.
Non l'ho ancora finito ma ho già capito che non è tanto la memoria che l'autore vuole suzzicare in me quanto la consapevolezza che se ognuno non riconosce questi meccanismi come possibili in sè, sarà sempre possibile il ripetersi di violenze disumane.

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